41 anni ci separano dall’assassinio di Aldo Moro e quasi 1 da quello di Antonio Megalizzi a Strasburgo.
L’uno e l’altro vittime dei nemici del cambiamento, della mediazione, delle contaminazioni, del riformismo che mi piace intendere come modalità di cambiare le cose senza spargimento di sangue.
Con gli strumenti della democrazia. Quelli faticosi e tortuosi, lunghi e, nella maggior parte dei casi, da praticare fino allo sfinimento. Quelli che pongono alla base di tutto il rispetto delle ragioni altrui. Sebbene distanti e, perfino, contrapposte.
Giornata della memoria delle vittime di terrorismo.
Oggi 9 maggio 2019, qui alla Camera dei Deputati, abbiamo celebrato la Giornata della memoria delle vittime di terrorismo. Innanzi al Presidente della Repubblica. Ai famigliari delle vittime. A studenti provenienti da tutta Italia.
Aldo Moro, Giorgio Ambrosoli, Guido Rossa, Emilio Alessandrini, Walter Tobagi, Massimo D’Antona, Marco Biagi. Cito quelli di cui ho un ricordo personale. Diretto.
Negli anni ’70 ero bambina ma le immagini in bianco e nero delle stragi dell’Italicus a Bologna, di Piazza Fontana a Milano, di Piazza della Loggia a Brescia e degli altri attentati sono scolpite nella mia memoria.
Massimo D’Antona e Marco Biagi sono storia recente come lo sono Antonio Megalizzi assassinato a Strasburgo, Valeria Solesin a Parigi, Fabrizia Di Lorenzo a Berlino Bruno Gulotta e Luca Russo a Barcellona e tutti gli altri italiani, vittime di atti terroristici di matrice islamica.
Politici, sindacalisti, giornalisti, professori universitari i profili delle vittime.
E poi giovani figli di quella bella Europa di pace e senza muri a cui non vorremo rinunciare.
Non voglio certo sostituirmi o aggiungermi alle autorevoli e diffuse riflessioni sugli Anni di piombo, su quella drammatica, e per molti versi non ancora totalmente svelata, stagione di stragi terroristiche.
Mi preme invece, considerata la valenza di questa giornata, soffermarmi su alcune questioni.
Non ultimo il significato stesso di una giornata della memoria delle vittime di terrorism0.
I nostri ragazzi, quelli che popolano e utilizzano i social, che sulla rete spesso vivono solitudini e subiscono bullismo ed emarginazione, è giusto che acquisiscano il significato di quel passato di stragi e negazione della libertà. E non perché ne siano turbati.
Ma al contrario perché prendano atto di quanto la democrazia del nostro Paese, allora, come in altri momenti e contesti storici del nostro percorso repubblicano, si sia rivelata l’unica via d’uscita.
L’unico argine a quella che sembrava una deriva inarrestabile.
Così contro il terrorismo rosso e nero. Ma ancora, oggi che sono 41 anni dall’assassinio mafioso di Peppino Impastato, così contro la mafia.
IL POPOLO.
Penso ai lavoratori, agli operai, i più deboli, gli sfruttati che mai cedettero alle sirene del terrorismo.
Eppure la lotta armata veniva presentata come lo strumento per portare a compimento la rivoluzione proletaria.
Ma la classe operaia, il mondo del lavoro, il PCI che quel mondo rappresentava non ebbero mai dubbi su quale fosse la propria metà campo.
Non rinunciando mai né all’asprezza del confronto, né alla caratterizzazione ideologica si schierarono sempre contro la violenza, l’eversione, diventando perciò bersaglio del disegno terroristico.
E mai rinunciarono ad esaltare i valori della Costituzione e a utilizzare e difendere il metodo democratico quale strumento di confronto e battaglia politica.
Ma fu il sentirsi popolo, comunità ancor prima che partito politico, operaio, studente, professore, medico, contadino e a dispetto dei forti squilibri territoriali e sociali, che allora non diversamente da oggi, caratterizzavano il nostro Paese, la nostra ancora di salvezza.
E il popolo, elemento costitutivo del nostro Stato insieme al territorio e alla sovranità, consapevolmente protagonista aiuto’, anche le Istituzioni, anche allora abbastanza deboli, a non abbandonare la strada tracciata dalla nostra Costituzione.
La decisiva, popolare e convinta svolta democratica, il senso di appartenenza e un profondo vincolo solidaristico ridimensionarono, purtroppo non definitivamente come dimostrò l’assassinio di Massimo D’Antona e poi quello di Marco Biagi, la forza e le potenzialità dei movimenti terroristici.
ITALIA OGGI.
Quel sentirsi popolo che non mi pare di rinvenire nell’Italia di oggi.
Un Italia profondamente mutata rispetto a quella degli anni ‘70.
Ancora dentro una crisi profonda e radicata. Un’Italia che ha dimenticato le sue storie di emigrazione. Ipocritamente multiculturale. Le Rumene e le altre donne che vengono dall’Est europeo vanno bene quando si fanno carico dei nostri bisogni, suscitano indifferenza se stanno in strada. E diventano nemiche, da cacciare e stuprare se, conformemente alle nostre regole e leggi, aspirano a una casa popolare.
Un Italia, che mi appare, guidata più dalla paura che da quella creatività, da quel buon senso che più di una volta, a partire dal dopoguerra, le ha fatto alzare la testa.
Dalla recente indagine CENSIS dal titolo ‘Cosa sognano gli Italiani’ emerge un Paese che tiene le distanze da tutto ciò che percepisce altro da se.
Così ‘il 20,4% degli italiani si sente distante da persone con valori diversi dai propri (sul ruolo della donna, la famiglia, ecc.), il 19,8% da persone che conducono stili di vita diversi, il 17,5% da persone con altre idee politiche, il 15,7% dalle persone di un’altra nazionalità, il 15,5% da chi è di un’altra religione’.
Dove sta il popolo che ha sconfitto il terrorismo?
Assopito dalle paure. Si. Ma non totalmente rassegnato.
E infatti la stessa indagine, nel tentativo di tracciare una strada, delinea il desiderio degli Italiani di ‘tornare a volare’.
Come?
Lasciando ‘spazio ai più capaci e i meritevoli (52,1%), promuovendo ‘maggiore uguaglianza e una distribuzione più equa delle risorse (47,8%), costruendo ‘più welfare e protezione sociale per dare maggiore sicurezza alle persone (34,3%)’, con ‘minore aggressività e rancore verso gli altri (33,1%)’.
In sintesi gli Italiani, in questa precisa fase storica, non si sentono popolo, almeno non completamente, ma credono che tornarlo a essere, in una società più equa e giusta, in cui c’è spazio per tutti, sia il presupposto per ‘tornare a volare’.
C’è una chiara presa di coscienza. E forse fra una paura e l’altra, anche la voglia di cambiare e la disponibilità a rinunciare al rancore che ingessa ogni cosa.
Serve un pensiero guida. Da elaborare insieme. Con lo sguardo rivolto all’orizzonte e con la volontà di mettersi in discussione.
Perché, come scrisse Aldo Moro, nella sua ultima lettera alla famiglia…
‘Tutto è inutile, quando non si vuole aprire la porta’.